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RIMINI

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Illustration by Marta D’Asaro

Editoriale di Michele Marziani

«Voglio che Rimini sia come Hollywood, come Nashville, un luogo del mio immaginario, dove i sogni si buttano a mare, la gente si uccide con le pasticche, ama, trionfa o crepa. Voglio una palude bollente di anime che vanno in vacanza solo per schiattare e si stravolgono al sole e in questa palude i miei eroi che vogliono emergere, vogliono essere qualcuno, vogliono il successo, la ricchezza, la notorietà, la fama, la gloria, il potere, il sesso. E Rimini è l’Italia del ‘sei dentro o sei fuori’. La massa cuoce e rosola, gli eroi sparano a Dio le loro cartucce…»

Non so se Rimini sia mai stata o ancora in parte sia, almeno letterariamente, così, come la immaginava Pier Vittorio Tondelli, nel 1985, all’uscita del suo romanzo che aveva per titolo il nome della città in riva all’Adriatico.

Così come non so se ancora sventolino i gelati e le bandiere di Fabrizio De André nella bella canzone dal testo scritto con Massimo Bubola, né se sia rimasto qualcosa dei vitelloni di Federico Fellini. Questo è il numero di agosto de Il Colophon e la Metropoli Balneare è ancora un luogo dell’immaginario. E la Rimini immaginata, sognata, lanciata in un pensiero iperbolico necessariamente estivo, è la Rimini che ho sempre guardato da un’immensa distanza. L’ho sognata senza viverla. L’ho vissuta ed era altro. E quell’altro era talmente bello, grandioso, eccessivo, da sembrare onirico, in bilico tra sogni e incubo, sicuramente irreale, alla faccia della realtà. La Rimini immaginata è sempre stata più bella di quella vera, tanto che anche noi che ci abbiamo a lungo vissuto dentro, quasi immersi, non riuscivamo a capire se ci fosse un confine tra la finzione e la vita. Più di tutti, in questo, è stato immenso Federico Fellini, capace di farci credere di una città cose che vivono solo dentro a un susseguirsi continuo di iperboli.

Ma quando ho lasciato Rimini per vivere altrove ho portato con me solo un profumo sottile, rimasto impresso nelle narici: quello delle graticole che nei cortili, la sera, arrostiscono il pesce sulla carbonella. Di Rimini avevo quello. Ed era un ricordo sbiadito d’infanzia, o marginale di certi quartieri rimasti popolari.

Della Rimini letteraria non ritrovavo nulla. Così mi sono fatto un regalo: ho deciso di sentirmela raccontare. E ho ritrovato sotto l’ombrellone narrativo le tante Rimini che potere leggere su questo numero de Il Colophon. Ho raccolto dalla penna di tanti autori brandelli lucidi e vivi di città e, a parte, magistralmente, pennellate di quella memoria tondelliana che cercavo. La città di Pier Vittorio Tondelli non è probabilmente mai esistita. Per questo non smette mai di stregarmi.

Ho scritto tutto questo prima di sapere che l’editore non era più in grado — almeno per ora — di sostenere Il Colophon e che questo che state leggendo sarebbe stato non solo il numero 20 della nuova serie diretta dal sottoscritto, ma anche l’ultimo.

È vero che ogni rivista che chiude è una voce che si spegne, ma è altrettanto vero che tutti quelli che hanno scritto sulla rivista in questi anni hanno parlate originali, cristalline, possenti, scanzonate, capaci di farsi sentire ovunque. Le voci non muoiono. Trovano altre terre e altre case. Ci rivedremo da qualche parte per raccontarci quanto sono stati belli questi anni letterari passati insieme.


RIMINI was originally published in IL COLOPHON on Medium, where people are continuing the conversation by highlighting and responding to this story.


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